/ Aliquote IRPEF, imposta negativa e premi di risultato: tre pilastri per la riforma fiscale

Pubblicato il 10 Ottobre 2019 in Fisco

Una riforma fiscale declinata su tre fronti: un accorpamento delle aliquote IRPEF sui primi scaglioni, con conseguente rafforzamento dei redditi medi, soprattutto quelli da lavoro dipendente (attualmente penalizzati rispetto a svariati regimi sostitutivi per altre forme di reddito), un intervento mirato sui redditi da lavoro dipendente per aumentare il netto in busta paga anche ai lavoratori con redditi tanto bassi da non pagare tasse, con l’introduzione di una vera imposta negativa che preveda trasferimenti anche agli incapienti se lavoratori dipendenti, e un rafforzamento degli attuali incentivi fiscali sui premi di risultato. È questa la ricetta presentata dal Centro Studi di Confindustria, nel Rapporto di previsione sull’economia italiana.

“Dove va l’economia italiana e gli scenari di politica economica ” è il titolo del rapporto presentato dal Centro Studi Confindustria in occasione di un convegno del 7 ottobre 2019, nel corso del quale è stata presentata la previsione del CsC sull’economia italiana e la crescita del PIL nel 2019 e 2020 e il confronto con le ultime previsioni di marzo 2019, con gli scenari di politica economica.

l Rapporto stima che l’Italia è in bilico tra ripresa e recessione. L’economia italiana è ancora sulla soglia della crescita zero, rischiando di cadere in recessione in caso di eventuali nuovi shock, sempre possibili, soprattutto dal fronte estero, come mostra l’elevatissimo grado di incertezza oggi presente sui mercati.

Il rapporto contiene alcune significative proposte di intervento in materia fiscale per rilanciare la produttività e lo sviluppo. Il 2020 potrebbe rappresentare un anno di svolta per l’economia italiana – si sottolinea – a patto che il dividendo dei tassi di interesse ai minimi storici venga utilizzato per ricreare il clima di fiducia, rilanciare gli investimenti privati, avviare la riduzione del peso fiscale sui lavoratori e porre il debito pubblico su un sentiero decrescente. In attesa di un rasserenamento dello scenario geoeconomico internazionale.

Il rapporto di previsione

Il Rapporto di previsione sull’economia italiana, presentato dal Centro Studi di Confindustria alla presenza del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, contiene alcune significative proposte di intervento in materia fiscale per rilanciare la produttività e lo sviluppo economico in una delicata fase definita di stagnazione dell’economia italiana. Il “razionale” è che – più che in passato – molto dipenderà dalle scelte di politica economica e, in particolare, da come il Parlamento italiano modificherà l’attuale legislazione, che prevede un aumento dell’IVA e delle accise per 23,1 miliardi di euro a partire dal 1° gennaio 2020.

Le stime

In uno scenario a “politiche invariate”, includendo il rialzo di IVA e accise e le spese indifferibili, il PIL rimarrà fermo non solo nel 2019 ma anche nel 2020.

Se invece l’aumento delle imposte indirette venisse annullato e finanziato interamente a deficit, il PIL crescerebbe dello 0,4% nel 2020, ma il rapporto deficit/PIL sarebbe pericolosamente vicino al 3%, retroagendo sulla crescita.

Rimarrebbe al di sotto di questa soglia solo se i risparmi acquisiti dal minor utilizzo di quota 100 e reddito di cittadinanza andassero interamente a riduzione strutturale del deficit.

Nelle intenzioni del Governo, rappresentate nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza di inizio ottobre, malgrado la sterilizzazione degli aumenti IVA, il deficit sarà al 2,2% del PIL.

Spetterà al disegno di legge di bilancio specificare esattamente le coperture.

Quali sono i fattori che hanno pesato e potrebbero pesare negativamente sulla crescita?

In primo luogo, vi è un minor apporto ai consumi delle famiglie da parte del Reddito di cittadinanza, si sottolinea ancora che il rallentamento in Germania sia più profondo e duraturo di quanto atteso e che la fiducia in Italia è su livelli molto ridotti, e ciò spinge imprese e famiglie a una gestione più parsimoniosa dei propri bilanci. Sarebbe poi significativo l’impatto di un aumento dell’IVA delle dimensioni oggi previste dalla legge.

Come elementi positivi si rimarcano invece la percezione di un approccio diverso nei confronti dell’Europa e la conseguente flessione dei tassi sul debito sovrano e una elevata capacità di adattamento delle imprese localizzate in Italia ai mutati scenari internazionali, che continua a sostenere l’export più della dinamica della domanda mondiale.

Un menù di possibili interventi

Il Rapporto espone poi una serie di elementi utili ad alimentare il dibattito.

Si sottolineano in primis il sostegno agli investimenti e lo sblocco degli investimenti pubblici.

Si evidenzia poi l’avvio di una riforma fiscale che tenga ad alleggerire il carico, specie quello che grava sul lavoro, sia mettendo più soldi in tasca ai lavoratori, per favorire l’offerta di lavoro e i consumi, sia riducendo il costo del lavoro per le imprese, per aumentare la competitività e la domanda di lavoro.

Dati gli attuali stringenti vincoli di bilancio pubblico, ma vista l’urgenza di misure che massimizzino le prospettive di crescita del Paese, un’opzione percorribile appare quella di un intervento mirato e graduale, declinato su più fronti che stimolino lo sviluppo in ambiti tra loro complementari:

– un accorpamento delle aliquote IRPEF sui primi scaglioni, con conseguente rafforzamento dei redditi medi, soprattutto quelli da lavoro dipendente che sono attualmente penalizzati rispetto a svariati regimi sostitutivi per altre forme di reddito;

In un’ottica di semplificazione del sistema fiscale e di riduzione delle aliquote, si potrebbe sostituire l’aliquota marginale nominale attualmente in vigore sul secondo scaglione di reddito complessivo a fini IRPEF (27% tra 15-28.000 euro) con l’aliquota del primo scaglione (23$%). Secondo il CsC, ciò comporterebbe una perdita di gettito per lo Stato di circa 8 miliardi di euro, con risparmi fiscali per oltre il 56% dei contribuenti IRPEF. Per i 13,5 milioni di contribuenti nella classe di reddito 15-28.000 euro (il 32,8% del totale) la riforma implicherebbe una riduzione dell’aliquota media di tassazione di 1 punto percentuale, dall’attuale 12,4% (inclusivo degli effetti del bonus 80 euro) all’11,4%. Vi sarebbero risparmi fiscali anche per i contribuenti negli scaglioni più elevati, dato l’abbattimento di imposizione tra 15 e 28. mila euro di reddito. Per esempio, per i contribuenti con redditi tra 28 e 55.000 euro l’aliquota media di tassazione scenderebbe di 1,5 punti percentuali, da 22,6 a 21,1%. Per gli oltre 20 milioni di contribuenti con redditi da lavoro dipendente (che attualmente contribuiscono per il 60% dell’imposta netta complessiva), l’accorpamento dell’aliquota dal 27 al 23% determinerebbe un risparmio fiscale pari a 5,2 miliardi di euro, il 69% dei 7,9 di costo totale. Ciò conferma – sottolinea il Rapporto – che una rimodulazione di questo tipo si configurerebbe come un intervento particolarmente a favore dei lavoratori dipendenti, e quindi come un taglio del cuneo fiscale sul lavoro.

– un intervento mirato sui redditi da lavoro dipendente per aumentare il netto in busta paga anche ai lavoratori con redditi tanto bassi da non pagare tasse, con l’introduzione di una vera imposta negativa che preveda trasferimenti anche agli incapienti se lavoratori dipendenti;

Un’opzione per far arrivare più soldi in busta paga anche a quei 4 milioni di contribuenti lavoratori dipendenti incapienti, che oggi non pagano IRPEF e sono esclusi dal bonus 80 euro, senza un onere eccessivo per le finanze pubbliche, è quella di ridisegnare la struttura del bonus, prevedendo un phase-in che parta già dal primo euro di reddito, fino al raggiungimento dei 960 euro annui oggi previsti in corrispondenza del tetto di 8.174 euro di reddito complessivo. Il costo della misura si quantifica in 2 miliardi di euro aggiuntivi rispetto ai 9,5 miliardi già stanziati a regime per il bonus 80 euro. Aumentando il netto in busta paga ai lavoratori con redditi bassi ci si può aspettare un ampio impulso sui consumi (perché essi tendono ad avere una propensione al consumo superiore alla media) e sull’incentivo a lavorare.

– il rafforzamento degli attuali incentivi fiscali sui premi di risultato, per stimolare ulteriormente la diffusione di schemi variabili di retribuzione e il raggiungimento di incrementi di produttività;

Per incentivare adeguatamente le forme di contrattazione di secondo livello che legano più strettamente i salari ai risultati, si potrebbe rafforzare l’attuale incentivo fiscale sui premi di risultato collettivi: – riducendo la tassazione sul reddito personale al 5%, rispetto all’attuale aliquota sostitutiva del 10%; – innalzando da 3.000 euro a 6.000 euro il limite annuo dei premi, elargiti sotto forma di denaro, assoggettati al regime agevolato. Con riferimento agli oneri finanziari derivanti dalla proposta, il costo per lo Stato della detassazione aggiuntiva, stante il limite attuale a 3.000 euro di premio annuo, si attesterebbe a 170 milioni di euro il primo anno e raggiungerebbe 210 milioni il terzo. La stima assume che il rafforzamento dell’incentivo faccia crescere il monte premi agevolato gradualmente nel tempo a partire dal primo anno di implementazione. Innalzare il limite da 3.000 a 6.000 euro genererebbe un’ulteriore crescita del monte premi agevolato sia nel primo anno che negli anni successivi. Ciò porterebbe il costo delle due misure a 215 milioni il primo anno e 310 al terzo

– l’ampliamento degli attuali incentivi all’inserimento lavorativo dei giovani, in termini di sgravi contributivi sia sulle assunzioni a tempo indeterminato che sull’apprendistato.

Interventi sull’IVA

Si ritiene poi che, nel caso in cui si renda assolutamente necessario, per la tenuta dei conti pubblici e per evitare altre misure recessive, intervenire sull’attuale struttura dell’IVA, bisognerebbe finalizzare l’intervento sui singoli beni consumati prevalentemente dalle famiglie con redditi elevati, attenuando o comunque non aumentando l’incidenza dell’imposta sulle famiglie a basso reddito, che hanno tipicamente una maggiore propensione al consumo.

Lotta all’evasione

Si includono poi l’introduzione di misure di contrasto all’evasione, in particolare con uno stimolo all’uso della moneta elettronica, scarsamente diffuso in Italia, da erogare attraverso la definizione di uno sconto fiscale a coloro che ne fanno ricorso, l’acquisizione interamente a riduzione del deficit tendenziale dei risparmi derivanti dal minor utilizzo di quota 100 e del reddito di cittadinanza.

Last but not least un riequilibrio della tassazione sulle rendite finanziarie, attraverso un aumento della tassazione dei proventi sui titoli di Stato, al fine di recuperare risorse da destinare a un piano per la formazione e l’inserimento lavorativo dei giovani.